TestimonianzeLA DEPRESSIONE E I GRUPPI DI AUTO MUTUO AIUTO Sono depressa. Lo so perchè me l'ha detto il medico che mi cura. Il saperlo è già un passo avanti, perchè prima pensavo di avere svariate malattie, tutte gravissime, nonostante gli esami e i test cui mi ero sottoposta, dicessero il contrario. I miei mi girano intorno con fare circospetto, come se avessi qualcosa di contagioso e, di tanto in tanto, tornano alla carica con qualche frase che gli mette a posto la coscienza nei miei confronti: “Reagisci! Non ti manca niente.... Non stare tutto il giorno così! Ma non vedi che bei figli e che bravo marito hai? Ecc. ecc.”, ma che mi provoca un fastidio rancoroso. Mi danno anche fastidio i loro sguardi preoccupati. Insomma, in casa situazione pesante, afosa, paludosa, soffocante. Quando poi esco, sto alla larga dai conoscenti che quando m'incontrano mi dicono: “Non ti chiedo neanche come stai, tanto si vede” e incominciano a raccontarmi i loro guai, mentre io vorrei scappare da loro, dai loro discorsi e soprattutto dall'angoscia che mi cresce dentro. E' così: ci sono io, malata, che chissà quando tornerò a stare come prima, manco me lo ricordo più come stavo prima.... Io, inadeguata a ogni nuova giornata che mi s'innalza davanti come una montagna ogni mattina. E poi ci sono gli altri, loro, i sani, lontani da me anni luce,minacciosi, sempre pronti a darmi consigli o a criticarmi, come se la mia condizione fosse una colpa. Mia, naturalmente. Ho solo voglia di chiudermi in casa e non vedere più nessuno, al massimo lo psichiatra o lo psicologo, che tanto sono abituati a vedere gente come me e, anche se non possono capirmi del tutto, (perchè anche loro fanno parte dei “sani”), almeno mi ascoltano. Con atteggiamento professionalmente distaccato, ma mi ascoltano. Poi un giorno mi viene a trovare Gabriella, è da tanto che non la vedo. Arriva all'improvviso, senza telefonarmi prima, altrimenti avrei cercato una scusa per non incontrarla. Ma ormai è qui. Mi sento prendere dal panico e cerco di mascherare il mio stato d'animo con una finta e forzata allegria, ma dopo i primi convenevoli, il discorso langue, spero non voglia raccontarmi tutti questi anni che son passati senza vederci, ma soprattutto spero che se ne vada al più presto. Gabriella invece resta, e piano piano il dialogo si fa più personale, più intimo e mi ritrovo a piangere senza ritegno, raccontandole la mia misera condizione. Gabriella non si stupisce, non giudica, non consiglia, semplicemente mi ascolta con affettuosa attenzione. Non so quanto tempo passa, ma non me ne importa: alla fine mi ritrovo più sollevata e ben disposta verso di lei. E' allora che mi parla di un gruppo di auto mutuo aiuto, dicendomi che potrebbe essere adatto a me. Chi ne ha mai sentito parlare? E poi, cosa le viene in mente di propormi di andare in un gruppo di persone a raccontare i fatti miei? A parte il fatto che non ne ho voglia, non ha capito che preferisco evitarla, la gente? Che ogni volta che incontro qualcuno di “loro” sto più male? E poi a cosa mi serve? Ho già lo psichiatra, lo psicologo, le medicine.... Ascolto allora con stupore che Gabriella ha avuto anche lei dei problemi come i miei, quindi non mi sta dando uno dei soliti consigli consolatori: sa di cosa parla. Nel gruppo di mutuo aiuto ha trovato persone come me e come lei, persone con esperienze di vita diverse, ma accomunate dalla sofferenza della depressione. Mi spiega che il gruppo non sostituisce medici e farmaci, quelli fanno parte del percorso personale di ciascuno. Il gruppo è un'occasione in più, è un forte sostegno emotivo per ogni partecipante. Mi sento un po' confusa e anche dubbiosa: devo andare a raccontare i fatti miei ad estranei o a persone che di solito incontro per strada e che non sanno niente di me? Non sono obbligata a parlare, mi spiega ancora Gabriella, il gruppo da a ciascuno lo spazio per sfogarsi, se vuole, ma non l'obbligo, nessun obbligo. Non c'è neppure l'obbligo di iscrizione al primo incontro, né di frequenza. Mi dice che posso provare ad andare una volta, senza alcun impegno. Se mi troverò bene continuerò ad andarci, se invece non mi sentirò a mio agio, se il gruppo accrescerà la mia ansia, tanti saluti e amici come prima. Solo io posso sapere se va bene per me, ma devo almeno provarci: se non faccio il primo passo, resterò esattamente dove sono adesso. Inoltre la frequenza è totalmente gratuita e anche questo non è da sottovalutare. Il giovedì successivo, alle 19, mi reco all'appuntamento con Gabriella, che mi accompagna al gruppo. Sono tesa, angosciata al punto che mi sento come se dovessi vomitare: “Ma cosa ci faccio qui, seduta davanti a questa gente, perchè le ho dato retta, già ho fatto fatica ad uscire, adesso poi tutte queste facce nuove... Oddio, c'è anche la signora che abita al quarto piano... Ormai ci sono e ci resto, ma non dico una parola. Quanto poi a tornare....” La serata ha inizio, Gabriella mi presenta brevemente e poi chiede a ciascuno di presentarsi a mio beneficio. (Mi rendo conto che Gabriella ha un suo ruolo all'interno del gruppo: ne è la facilitatrice, cioè deve cercare di rendere più facile il dialogo tra le persone, stando attenta che ognuno abbia il suo spazio, ma che non ne prenda troppo. Deve anche incoraggiare le persone che si tengono un po' in disparte. Inoltre, e questo lo capirò meglio in seguito, ha il compito di stare attenta alle varie dinamiche che si instaurano all'interno del gruppo, per fare in modo che il clima sia funzionale al dialogo). Man mano che le persone raccontano la loro storia, parlando di fatti, ma anche di sentimenti e di emozioni, incomincio a riconoscere in alcuni di loro i miei sentimenti e le mie paure, le mie angosce e le mie sofferenze. Sento che questi che sono qui, per lo più non assomigliano agli altri, a quelli di fuori, assomigliano piuttosto a me, li riconosco e incomincio a sentirmi “a casa”. Quando tutti si sono presentati, vengo gentilmente invitata a farlo a mia volta, se ne ho voglia. A quel punto mi sento pronta a “svuotare il sacco” e parlo col cuore in mano, incoraggiata da ciò che ho già sentito e dal clima di rispettosa attenzione nei miei confronti. Butto tutto fuori di getto, un po’ confusamente, ma in questo momento le emozioni che ho tenuto dentro da tanto, si fanno strada ed escono allo scoperto senza chiedermi il permesso. Alla fine sono un po’ stordita, sono stupita di me stessa, mi guardo intorno un po’ incerta, ma mi sento sollevata. Qualcuno esprime ciò che ha provato quando io ho raccontato un certo episodio della mia vita, altri commentano altre parti del mio exploit, il tutto senz’ombra di giudizio o di critica. Qualcuno esprime un affettuoso incoraggiamento. La sensazione di sollievo si accentua. Mi vengono dette le regole che il gruppo segue per essere efficace: - si parla uno per volta, - parla solo chi vuole, - quando uno parla gli altri ascoltano, - ciò che vien detto nel gruppo non viene riportato fuori, - quando ci si incontra fuori del gruppo, non si parla di ciò che è stato detto in quella sede. Regole semplici e, se vogliamo, ovvie, ma soprattutto funzionali agli scopi del gruppo. Già, quali sono gli scopi del gruppo: perché non è un gruppo terapeutico, non ci sono esperti (psicologo o psichiatra) che propongono tematiche da approfondire e ai quali chiedere cos’è giusto o cos’è sbagliato. E poi, a mettere insieme una decina di depressi, non c’è il rischio che passino il loro tempo a piangersi addosso, e si deprimano ancor di più? Queste domande non me le sono fatte io, perché, dal primo incontro mi sentivo come un naufrago che tocca terra e non avevo niente da chiarirmi. Queste domande ce le rivolgono di solito, le persone che conoscono l’auto mutuo aiuto solo per sentito dire e, giustamente, hanno dei dubbi. Il fatto è che gli esperti nel campo della depressione siamo noi che la stiamo vivendo, o che l’abbiamo appena passata e perciò sappiamo esattamente di che cosa si tratta. Inoltre, abbiamo sì questo problema che ci condiziona non poco la vita, ma abbiamo anche delle risorse, che, se riusciamo a riconoscere e ad utilizzare, ci aiuteranno a trovare la nostra personale strada per stare meglio, nei modi e nei tempi di cui ciascuno ha bisogno. A questo serve il gruppo: a supportarci a vicenda, ad aumentare le nostre conoscenze in materia e ad incoraggiarci in questo cammino squisitamente individuale. Da un po’ di tempo ormai frequento il gruppo e, insieme alle altre persone, sto facendo questo cammino di scoperta delle mie potenzialità che non sapevo di avere. Attraverso il gruppo ho ripreso fiducia, oltre che in me stessa, anche nelle persone, mi sono resa conto che essere autenticamente se stessi può costare fatica, ma ne vale la pena. La consapevolezza di sé aiuta anche a capire meglio gli altri e tutto ciò vien fatto attraverso l’ascolto e l’impegno personale, perché tra un incontro e l’altro ho il tempo di riflettere su ciò che ho ascoltato e sul mio modo di vivere quotidiano. In definitiva mi rendo conto di essere un po’ cambiata, di essere diventata più forte: tutto ciò è avvenuto con l’aiuto del gruppo. Il giovedì è diventato un punto di riferimento irrinunciabile: se ho bisogno di sfogarmi, quello è il posto giusto, se non ne ho bisogno so che potrò essere di aiuto a qualcun altro e questo aumenta la mia autostima. Poi ascoltando c’è sempre qualcosa da imparare. In ogni caso ne traggo vantaggio. Un’altra domanda che a volte mi sento fare è: ma il gruppo crea dipendenza? E se non puoi più farne a meno? A parte che la dipendenza prevede un comportamento compulsivo, cioè costringe a fare cose indipendentemente dalla mia volontà, e non mi sembra che sia questo il caso, tutti noi abbiamo delle piccole o grandi dipendenze quotidiane (il caffè dopo i pasti, l’ascolto della stessa trasmissione radiofonica alla stessa ora, leggere due pagine prima di addormentarci, le abitudini domestiche, ecc.) che fanno normalmente parte della nostra vita e che non mettiamo neppure in discussione. Allora, perché sentire come una minaccia alla propria libertà quell’ora e mezza settimanale che scelgo io di frequentare e che oltre tutto mi aiuta a stare meglio? (Scritto da Anna Bologna e Pubblicato sull'opuscolo informativo quadrimestrale “AUTO AIUTO” dell'Associazione Parenti e Amici dei Malati Psichici- Estate 2005 - ora "Associazione Ariadne". |